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Home Magazine Editoriale Editoriale: il triste logo di Trieste
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Editoriale: il triste logo di Trieste

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Lombardo Marco
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22 Luglio 2017
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    “Peggio di così non può andare”

    Credo di aver detto quella frase circa sette anni fa, quando vidi il restyling del logo di Salerno.
    L’ho ripetuta per la realizzazione del logo Lazio, del logo Firenze, del logo Italaia Expo, del logo RoME & you, e ancora in occasione del logo A per Catania, fino alla settimana scorsa parlando del nuovo logo dell’Università di Caserta.. e ogni volta succede sempre che io debba ricredermi.

    La mia, nel tempo, non voleva essere una sterile polemica bensì un monito, un urlo di disperazione lanciato verso le istituzioni artefici di questo sistema, poiché la strada percorsa è sbagliata.
    E se pensate che non ci siano conseguenze, pensate a cosa possa significare per un comune il 10 , 20 o addirittura il 30 % in meno di turismo: il rischio è concreto.

    Incurante di ciò, il Comune di Trieste ha indetto un CONTEST: “Invento Trieste”, che prevedeva di creare l’immagine coordinata della città, tra logo, claim e video, tutto realizzato da una persona sola, dunque non proprio alla portata di tutti considerando che già tra i professionisti difficilmente si trovano persone in grado di eseguire PROFESSIONALMENTE questo compito.
    Il premio per il vincitore del contest? UN TABLET.
    Ovviamente a tale premio corrispondere un lavoro di stessa se non minore qualità:

     

    Potrei soffermarmi sul quali regole questo logo non rispetti per essere considerato un vero logo, sul perché la scelta del font non sia adeguato al tipo di impiego preposto, oppure sul fatto che il logo non sia né scalabile né utilizzabile in diverse soluzioni, potrei soffermarmi persino sul fatto che quello non è il castello di Miramare, ma sarebbe una noiosa lezione di grafica di base. potei anche porre l’attenzione sulla forzata richiesta nel brief  di voler utilizzare per forza termini di uso inglese, un’anglomania che ci rende ridicoli, oltre ad essere stata fin troppo abusata, vedi RIMINING

    Sia ben chiaro che non ho nulla né contro il vincitore di questo contest, ovvero tale Daniel Zotti che per suoi motivi ha partecipato, e ben venga considerando che ha vinto,  né con l’unica giurata di settore, tale Lorella Klun (indicata come esperta in grafica pubblicitaria).

    Affidarsi ad un brief ASSURDO (leggi qui) e a questa tipologia di CONTEST potrebbe andar bene (non troppo) per una piccola azienda che non sa dove sbattere la testa, che decide di affidarsi alla quantità piuttosto che alla qualità;  se al contrario sei un’entità pubblica o una grande azienda che ha bisogno di un’IMMAGINE PROFESSIONALE che la rappresenti, non puoi certo mettere a rischio il tuo fatturato o la tua credibilità, che è esattamente ciò che sta succedendo con un logo del genere.
    Voler dare a tutti le stesse possibilità è SBAGLIATO.


    Una competizione aperta a tutti non assicura certo un processo democratico.
    Democratica sarebbe stata una competizione con al suo interno due spazi: uno dedicato solo ai professionisti e uno dedicato a tutti coloro che non fanno parte del settore, mentre le persone preposte a giudicare avrebbero dovuto semplicemente fare i COMUNICATORI, ovvero coloro che per professione studiano il mondo della comunicazione con tutte le sue sfaccettature.

    A tal proposito mi permetto di citare  da un articolo di artribune le parole di Milton Glaser in occasione del concorso per il logo di Firenze di alcuni anni fa: “Scegliere un marchio non è come dire che colore ti piace, non è questione di preferenze. È una questione di efficacia. [..] Il processo di selezione è molto complesso e difficile. Va fatto da qualcuno che abbia esperienza nel campo. Qualcuno che ha coscienza di sé e del suo lavoro e che per questo sia degno di rispetto. Una gara di questo tipo si fa tra pochi partecipanti, tre al massimo, non 500. Se hai 500 piatti da assaggiare, come fai a dire qual è il piatto più buono? Più sono le persone invitate, e in questo caso sono tutti, più è certo che ci sarà un cattivo risultato. Questa è un’obiezione statistica, non artistica.”
    Il senso delle sue parole è cristallino: un professionista dialoga col committente al fine di cogliere ciò che il cliente stesso non riesce ad esprimere, mentre qui ci troviamo in una situazione ambigua.

    È un po’ come aver indetto un bando di una gara edilizia, dove per partecipare serve un’impresa, architetti, ingegneri, geometri insomma professionisti, aperta però anche a chiunque si diletti con il fai da te.

     

    I concorsi online non sono affollati da professionisti, ma da dilettanti.
    Questo non significa che non venga mai fuori qualcosa di buono, significa però che la selezione è priva all’apice di un’intenzione qualitativa e difficilmente questo tipo di gara porterà all’effettivo risultato migliore o giusto per lo scopo. Ma sarà una questione del gusto di pochi, presumibilmente non competenti.

    Questi mezzi perpetrano la continua svalutazione della professione del progettista visivo, oggi più importante che mai. Di questo passo è impossibile dare l’immagine di un paese serio all’interno di un contesto europeo, poiché ciò che mostriamo è il prodotto di una terra priva di talenti, che invece ci sono ma che non hanno i giusti spazi e modi per emergere come professionisti.

    Un pensiero espresso anche da esponenti del settore triestini che, per ultimi in ordine di tempo, hanno visto sbeffeggiato il proprio lavoro.

    Antonella Jero (utente facebook):

    “Noi professionisti triestini non ci siamo messi in gioco perché appunto siamo grafici professionisti e riteniamo assurdo essere pagati per un logo internazionale che “dovrebbe” reclamizzare la nostra splendida città in tutto il mondo con un tablet!!! È come svendere la nostra professione!!! Il contest è stato rivolto a tutti i cittadini, non i professionisti proprio per non dover pagare!!! Difatti chi ha partecipato non è ovviamente del settore, tutti i loghi hanno errori da principianti o da chi smanetta solo al computer e si crede per questo grafico! Non è questa la professione che ho scelto e per cui mi sono laureata!!! Non faccio la “figa” ma faccio questo lavoro da 30 anni e ci tengo alla professione e sono orgogliosa di essere una grafica, questa non è grafica!!!!

    Inoltre, mi è sembrato giusto chiedere un commento a caldo di alcuni colleghi del settore, come Bob Liuzzo, esperto di branding e coordinatore e docente presso lo IED di Milano, che mi scrive:


    “dopo RoME & You ormai siamo lanciatissimi sull’itaglish! Ma d’altronde siamo il paese dove i divi di Hollywood vengono a Morire, Garcia con l’amaro Averna, Banderas con le galline… quindi le particolarità di un paese vanno esaltate… i divi americani muoiono e con loro anche il nostro italiano!
    In più, si sa che c’è un ritorno agli anni 90… la clipart non morirà mai! Scomponendo le due discipline, il naming potrebbe anche essere interessante ma la tipografia non “parla” non valorizza il messaggio, e come un OMONE con la voce di una bambina di 12 anni, come una lapide scritta in comic sans. Il visual è lontano dalla sintesi che un marchio dovrebbe raffigurare, è più una cartolina che un logo, non veicola valore ma solo il paesaggio che può banalmente essere ormai fotografato con qualsiasi device, da qualsiasi turista venendo meglio.”

    Un altro importante feedback me lo ha fornito Martin Benes, graphic designer e organizzatore di importanti eventi di formazione in Italia come il Creative Pro Show:

    “Il risultato del contest per logo di Trieste, come spesso accade, si è fatto conoscere non per la sua efficacia ma per la sua tristezza infinita.
    L’Italia è la culla dell’arte, del design e della moda e nonostante tutto, le istituzioni continuano ad indire contest dai risultati imbarazzanti. Vi ricordate il logo del portale italiano a forma di banana?
    Stento a credere che le istituzioni non abbiano il budget da investire in comunicazione. Un paese che potrebbe campare di turismo, tratta questo settore come l’ultima ruota del carro.
    Tristissima poi la scelta del nome che strizza l’occhiolino alla lingua inglese, con l’ing finale.
    Stendo infine, un velo pietoso sullo slogan:”We are InTRIESTEIng” e continuo a non capire, perché in Italia, sulla comunicazione ufficiale, si debba parlare inglese.
    Che dire, l’ennesimo e chiaro esempio di come in Italia, chi dovrebbe cercare di cambiare le cose in meglio, valorizzando il territorio, sceglie strade mediocri, trattando il settore della comunicazione visiva, in maniera davvero imbarazzante.”

    Un’ultima analisi mi è stata data da Massimo Nava, docente presso Romeur Academy Visual ed esperto in comunicazione e storytelling:

    “inTRIESTEing
    Un nuovo logo. Una nuova occasione per confrontarci, seriamente, su presupposti ricorrenti e amenità eventuali.
    Siamo abituati a discutere di contest e sfide creative.
    Diciamolo a voce alta: è divertente massacrarne dettaglio e contorni. Ci andiamo tutti a nozze.
    Però.
    Non sempre l’occasione oggetto degli strali è così raccapricciante da giustificare attacchi, isterismi e cattiverie.
    Ma i social sono un’affollata piazza urlante di “forti leoni da tastiera”.
    In questo senso, di frequente, molte delle polemiche e considerazioni lasciano il tempo che trovano.
    Spesso vale la pena piegare un noto modo di dire: chi non sa fare, straparla.
    Andiamo oltre.
    La storia di “inTristing” (come l’ha definito un commentatore) è uno dei casi dove è difficile salvare il salvabile.
    Le premesse erano annunciate (e criticate) non solo dagli utenti ma anche da figure autorevoli; il pagamento “in natura”, con un tablet in premio a fine gara, resterà un must per una città che decisamente meritava più considerazione.
    Cosa ci si poteva aspettare, di conseguenza?
    Se gli organizzatori non hanno assegnato un valore al ruolo professionale dei partecipanti traducendolo in un tablet (per sorridere: che sia uno dei modelli sottocosto che si trovano anche agli ipermercati? 😉 cosa ci si poteva aspettare dal risultato finale (che include anche l’approccio alla scelta e forse il livello dei lavori proposti, tout court?).
    Non c’è molto da dire, in verità.
    Fa tristezza il presupposto, l’orientamento e le modalità.
    Fa tristezza il risultato finale.
    Fa inTristing sapere che una bella città si offra al resto del mondo con un vestito che non la rappresenta.
    Come andare a godersi un’orchestra famosa con un iPod nelle orecchie e in loop il brano “Italia”, del mitico Mino Reitano.
    Ca va sans dire
    Nota a margine: semmai serva sottolinearlo, ovviamente il creativo di turno non ha “colpe”; ha fatto la sua proposta e il suo ruolo termina nel momento dell’invio.”

     

    Colleghi, non ci resta molto altro da dire, lascio a voi la parola, sperando davvero di non doverci ritrovare ancora qui a parlare di come nel nostro paese sia impossibile investire in comunicazione, valorizzando se stessi e il proprio saper fare.

    Questo articolo in forma editoriale è la posizione condivisa del gruppo robadagrafici,
    Loredana Guercia ha contribuito alla stesura.
    il logo intristing è di Roberto Michelucci (fan RDG)

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