Ti è mai capitato di vedere un rebrand e pensare “ah si, il solito restyling safe per non scontentare nessuno“? Ecco, quando ho visto il nuovo logo di Repsol, la prima cosa che ho pensato è stata esattamente questa, anzi in realta se devo dirla tutta la prima cosa che ho pensato è stata: “ok, niente fuochi d’artificio… ma forse è proprio questo il punto.” infatti non bisogna mai giudicare un rebrand dalla prima impressione Instagram.
Diciamoci la verità: in un momento in cui tutti si aspettavano una rivoluzione in stile Moeve (ex- Cepsa), Repsol ha fatto una scelta coraggiosa fingendo di fare quella scontata. E spoiler: ha funzionato.
Chi c’è dietro al progetto
Il dream team del rebrand: Saffron Brand Consultants (lead agency con uffici a Londra e Madrid) ha guidato strategia e design, supportati da Picnic per alcune implementazioni specifiche e dal team interno di design Repsol. La tipografia custom “Sole Repsol” porta la firma di Dalton Maag, una delle foundry più quotate al mondo (quelli di Nokia Pure e BMW Typeface, per intenderci). Un mix perfetto di strategia internazionale e execution di livello mondiale.
Before/After: dissezione tecnica di un’evoluzione chirurgica
Il logotipo: da MAIUSCOLO a umano
Il passaggio dalle maiuscole alle minuscole non è solo una questione estetica – è pura psicologia applicata. La nuova tipografia custom “Sole Repsol” (realizzata da Dalton Maag) ha curve più morbide che esprime immediatamente una minor rigidezza di come vuole farsi percepire: il brand diventa letteralmente più abbracciabile.
Dal punto di vista tecnico: la leggibilità a piccole dimensioni è migliorata del 40% circa (provate a confrontare i due loghi a 16px su mobile). Le curve aggiungono peso visivo senza aumentare l’ingombro – un trucco che molti sottovalutano ma che fa la differenza tra un logo che “tiene” e uno che scompare.
Il simbolo: da illustrazione a sistema
Il vecchio sole a bande tricolori (rosso-bianco-arancione) era iconico ma rigido. Il nuovo degradato arancione→magenta è un colpo di genio per tre motivi:
- Scalabilità perfetta: da billboard a favicon, il gradiente si adatta senza perdere impatto
- Differenziazione immediata: nell’ocean blu delle energy company, quel magenta ti sbatte in faccia
- Futuro-compatibile: funziona su tutti i supporti digitali emergenti (AR/VR inclusi)
L’identità cromatica: codifica funzionale mascherata da estetica
Qui Saffron ha fatto la mossa più intelligente: hanno trasformato il sistema colori carburanti in un linguaggio visivo coerente. Il diésel renovable Nexa passa dal blu al magenta, collegandosi visivamente al nuovo brand core. Non è solo bello, è strategicamente geniale.
Strategia e contesto: il timing perfetto di una mossa apparentemente conservativa
Perché proprio ora?
Repsol aveva un problema: come comunicare di essere diventati multienergetic senza sembrare degli opportunisti del green-washing? La loro soluzione: evoluzione, non rivoluzione.
I numeri che giustificano tutto: 4.700 MW di rinnovabili installati, 2.500 punti di ricarica attivi, 2.7 milioni di clienti elettricità/gas. Non stanno diventando green, ci sono già diventati. Il rebrand è solo l’ultimo step.
La strategia del “contrarian”
Mentre tutti i competitor correvano verso rebranding radicali (Cepsa→Moeve, Shell che flirta con il minimalismo), Repsol ha scelto la strada opposta: “Noi non abbiamo bisogno di cambiare nome perché siamo sempre stati noi”.
Il contesto competitivo: in Spagna, dopo la mossa shock di Cepsa, Repsol rischiava di sembrare statica. Invece hanno giocato la carta dell’autorevolezza: “I giovani cambiano nome, noi evolviamo l’esistente perché siamo solidi”.
cosa funziona e cosa meno (secondo noi)
Cosa funziona DAVVERO
- La coerenza storica: mantengono 39 anni di equity visivo senza sembrare vecchi
- L’identità sonora: primo brand energetico con audio branding integrato nell’experience fisica (geniale per charging stations)
- Il sistema esteso: dalle stazioni di servizio agli screenshot app, tutto respira coerenza
Cosa poteva essere fatto meglio
Il gradiente, seppur strategicamente perfetto, rischia di datarsi più velocemente del simbolo solido precedente. Tra 10 anni potrebbe sembrare “molto anni ’20”.
Alternativa che avrei suggerito: mantenere il gradiente come sistema colore ma sviluppare anche una versione piatta del simbolo per usi istituzionali/lunghi periodi.
Lesson learned per la community
Non sempre il cliente che chiede “qualcosa di completamente nuovo” ha ragione. A volte la mossa più coraggiosa è dire: “Il tuo brand funziona, evolviamolo intelligentemente”.
Insights per la community: 3 lezioni da rubare subito
1. L’evoluzione batte la rivoluzione (quando hai già equity)
Se il vostro cliente ha un brand riconosciuto, non fatevi sedurre dal fascino del “tutto nuovo”. A volte migliorare l’esistente è più difficile ma infinitamente più intelligente.
2. I gradient sono tornati (ma solo se fatti bene)
2024-2025 è l’anno del ritorno dei gradienti, ma attenzione: devono essere funzionali, non decorativi. Quello di Repsol funziona perché risolve problemi tecnici reali.
3. L’identità sonora non è più “nice to have”
Con l’esplosione degli ambienti ibridi fisico-digitale, chi non pensa al suono del proprio brand si sta già tagliando fuori dal futuro.
Il verdetto finale
Repsol ha fatto quello che tutti i grandi brand dovrebbero fare ma pochi hanno il coraggio di tentare: ha scelto la strada più difficile. È più facile buttare tutto e ripartire da zero che evoluzione chirurgica di un sistema consolidato.
Il risultato? Un rebrand che sembra conservativo ma è in realtà radicalmente intelligente.
E voi cosa ne pensate? Avete mai dovuto convincere un cliente che “nuovo” non significa sempre “migliore”? Nei commenti voglio sentire le vostre battaglie con i clienti che volevano “strafare” quando bastava “fare bene”.